lunedì 3 gennaio 2011

RECENSIONE: In un mondo migliore



Titolo:
In un mondo migliore
Titolo originale: Haevnen
Danimarca, 2010
Cast: Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Markus Rygaard, William Jøhnk Nielsen.
Sceneggiatura: Susanne Bier
Regia: Susanne Bier
Durata: 113'

Christian ha appena perso la madre e si trasferisce nella villa della nonna in Danimarca insieme al padre. Christian non ride, è taciturno, colmo di rabbia e ha scelto la stanza più piccola e isolata della magione. Il padre tenta di avere un rapporto con lui, ma Christian non perdona al genitore la morte della mamma e ha innalzato un muro di incomunicabilità.
Elias ha 12 anni è vittima dei bulli della scuola, ogni giorno viene vessato, chiamato "faccia di topo", deriso e torna sempre a casa con le ruote della bicicletta sgonfie. Elias odia la madre e il padre è un medico che fa il volontario in Africa.
Christian diventa il nuovo compagno di scuola di Elias, condividono il banco e lo stesso giorno del compleanno. Il primo giorno di scuola per Christian finisce con una pallonata in faccia e un naso sanguinante, ma a differenza di Elias reagisce e colpisce il suo aggressore con una violenza ancora più feroce. “È così che bisogna difendersi, ho cambiato tante scuole, so come funziona” dice cinicamente al padre.
Elias è più debole, rimane affascinato del suo nuovo amico e i due cominceranno insieme un percorso autodistruttivo che arriverà a pericolose conseguenze, sotto gli occhi impotenti dei genitori che tentano in ogni modo di seguire i propri figli.
In un mondo migliore è l’ultima pellicola della cineasta Susanne Bier (Non desiderare la donna d’altri del 2004; Noi due sconosciuti, trasferta americana con Halle Berry e Benicio Del Toro). In un mondo migliore è una riflessione amara sul complicato rapporto tra genitori e figli. Susanne Bier imposta la storia su due livelli: uno “povero” in Africa, dove Anton, il padre di Elias svolge la professione di medico in Africa, dove la violenza e la guerra sono parti integranti della vita quotidiana; e uno “ricco” tra ville nello splendido paesaggio della Danimarca, trovando una complicità, qualcosa in comune tra il mondo dilaniato dalla guerra dove vige la legge del più forte, e il mondo più “civilizzato” dell’Occidente.
La tematica del bullismo e dell’incomunicabilità tra genitori e figli era già stata trattata nella pellicola d’animazione Terkel in trouble (2004 di Stefan Fjiedmark, dove mostrava efficacemente il difficile rapporto con il giovane Terkel che tenta di raccontare i suoi guai al padre e si sente perennemente rispondere “no”), e ora questa spia di un malessere sociale (che, evidentemente, è diffusa negli ambienti scolastici danesi) torna prepotentemente in questo splendido film capace di svelare un'inquietudine e una "bruttura" che in teoria, in un mondo dove vige il benessere, non dovrebbe esserci.
C’è del marcio in Danimarca, decantava Shakespeare nel celebre e meraviglioso Amleto. Il marcio è annidato a scuola sotto le sembianze della prepotenza, dove il bullismo è un fatto ormai inconsueto e l’unico modo per difendersi dalle ingiustizie consiste nel reagire con violenza e la vendetta (heavnen come recita il titolo originale). Il marcio è ben nascosto nella borghesia, perché è in un ambiente borghese che è ambientata la storia (il padre di Crhistian è un ricco uomo d’affari che lavora a tra l’Inghilterra e la Danimarca, i genitori di Elias sono entrambi medici), dove il nucleo familiare è in crisi, in un lento e agonizzante stato di disgregazione. Il marcio è nell’ignoranza degli adulti che schiaffeggiano e picchiano per dimostrarsi più forti, educando i propri bambini alla prepotenza. Così come il marcio risiede nell’indifferenza delle istituzioni, incarnata da una preside e insegnanti che non riconoscono le problematiche dei propri studenti e si nascondono dietro scuse e sorrisi al limite della stupidità.
Occhio per occhio e il mondo diventa cieco, affermava il Mahatma Ghandi. Chi è veramente la vittima e chi il carnefice? È lecito difendersi con un moto di violenza maggiore, pur di vivere in tranquillità? Incutere paura, porta al rispetto o ci si abbassa allo stesso livello dei propri aguzzini? è giusto lasciare un despota assassino al proprio destino, andando contro la propria etica in nome della giustizia? Non reagire ad un’offesa indica un senso di civiltà, o è un atto di viltà?
È questo quello che si chiede la regista danese Susanne Bier e lo fa con questo film duro e disperato, finendo per “prendere a pugni” lo spettatore. Memore della lezione Dogma di Lars Von Trier, Bier utilizza uno stile freddo, a tratti documentaristico con zoom per sottolineare la disperazione dei suoi personaggi.
Anche se ha tratti risulta pedagogico (come la scena in cui Anton si lascia maltrattare da un signore per dimostrare a Christian e ai suoi figli che non ha paura di lui, e che non bisgogna risolvere le questioni alzando le mani) e a tratti melodrammatico (la crescente disperazione di Christian che lo porta ad una scelta tragica), In un mondo migliore è uno dei più bei film del 2010, una lucida analisi sull’inciviltà che sta colpendo la società occidentale che arriva a toccare i ragazzi, gli adulti di domani. Il finale conciliatorio non è un atto di buonismo, ma un auspicio che l regista augura per costruire un futuro di speranza.

Voto: 8/9
A.M.


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