martedì 27 aprile 2010

RECENSIONE: L'uomo che verrà





Titolo:
L'uomo che verrà
Italia, 2009
Cast: Maya Sansa; Alba Rohrwacher

Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Tania Pedroni, Giovanni Galavotti
Produzione:
Aranciafilm, Rai Cinema
Regia: Giorgio Diritti
Durata: 117'
Martina è una bimba di otto anni e trascorre le sue giornate a Montesole, nei pressi di Bologna, tra la scuola e la famiglia. Dopo la morte del fratellino Martina si rifiuta di parlare e per questo motivo è presa in giro dai compagni di classe. La sua vita sembra tranquilla, ma siamo nel 1943 e infuria la guerra. I tedeschi da alleati si sono trasformati in nemici e i contadini subiscono le “visite” poco gradite dei soldati nazisti, che costringono i civili a privarsi dei loro pochi viveri, mentre i giovani organizzano l’offensiva partigiana. La mamma di Martina (Maya Sansa) aspetta un fratellino e nascerà nel giorno più brutto per gli abitanti del posto. La popolazione di Montesole è in pericolo e subiranno, inevitabilmente, l’ira dei tedeschi. Nonostante tutto c’è ancora una piccola speranza…
Dopo Il vento fa il suo giro, Giorgio Diritti dedica la sua seconda pellicola alla strage di Marzabotto. La tragedia della seconda guerra mondiale è viva nella pellicola, ma il regista si concentra soprattutto sui personaggi, i contadini di Montesole. Diritti li segue nelle loro faccende quotidiane, il lavoro, la messa, la scuola, i loro discorsi in dialetto, a metà tra un film neorealista e L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (di cui Diritti è stato il suo assistente alla regia, e ne ha assorbito lo stile). C’è un clima pastorale con i boschi, le campagne, un piccolo nucleo intatto dagli orrori e la atrocità del conflitto. La piccola Martina ne rappresenta l’aspetto innocente: silenziosa testimone degli eventi, è spettatrice della vita che si difende dalla povertà, dalle incursioni dei soldati, della forza di andare avanti nonostante tutto. L’aspetto idilliaco viene bruscamente interrotto e la drammaticità aumenta quando i personaggi sono condannati al loro tragico destino. Diritti non punta sul patetismo, sulle lacrime facili o un eccesso di melodramma, ma con stile asciutto rappresenta lo spavento e il terrore di uomini, donne e bambini che vengono travolti dalla crudeltà e dalla morte. Il fratellino di Martina è l’uomo che verrà del titolo, il simbolo della speranza e della voglia di vivere dopo la morte e la distruzione. Martina così piccola e indifesa si ritrova a salvare questa piccola opportunità di ricominciare una nuova vita. L’uomo che verrà ha il grande pregio di mostrare un’Italia che c’è stata e non c’è più e il regista ha avuto coraggio nell’usare (quasi) interamente il bolognese dell’epoca, regalandoci un piccolo pezzo di cultura italiana che si sta perdendo di generazione in generazione. in modo. L’opera di Giorgio Diritti è un film di grande impegno civile, facendo riemergere una pagina di storia vergognosa senza retorica e moralismo, spesso dimenticata.
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Voto: 8,5
A.M.

lunedì 26 aprile 2010

News: I 70 anni di Al Pacino



Il padrino compie 70 anni. Nato ad Harlem il 25 aprile 1940, Al Pacino è stato, ed è tutt'ora, uno dei più grandi attori del Novecento. Protagonista di pellicole come Serpico, Quel pomeriggio di un giorno da cani, la trilogia del Padrino, vinse un Oscar come attore protagonista per Scent of a Woman. Profumo di donna. Tra le ultime pellicole interpretate: Il mercante di Venezia, Ocean Thirteen; sfida senza regole

venerdì 23 aprile 2010

News



L'attrice Claudia Pandolfi è stata ferita in seguito ad uno scontro con un paparazzo. Il paparazzo, Mauro Terranova scattava foto all'attrice che, infastidita, chiedeva al fotografo il rullino. La situazione è degenerata in un litigio che ha portato Terranova a spruzzare uno spray urticante al volto della donna e poi è fuggito a bordo della sua auto. Mentre scappava non si è accorto che stava trascinando l'attrice. Ricoverata in ospedale, è stata sottoposta ad un intervento chirurgico al petto, ma le sue condizione non sono apparse gravi.

domenica 18 aprile 2010

FILMOGRAFIA: Javier Bardem






NOME: Javier Encinas Bardem
DATA DI NASCITA: 01/03/1969

LUOGO DI NASCITA: Las Palmas de Gran Canaria, Gran Canaria, Spagna

PROFESSIONE: Attore

ATTORE:

(2010) Mangia, prega, ama - Felipe
(2008) Vicky Cristina Barcelona -

(2007) L'amore ai tempi del colera - Florentino Ariza

(2007) Non é un paese per vecchi - Chigurh

(2006) L'ultimo inquisitore - Goya's Ghosts - Frate Lorenzo

(2005) Killing Pablo - Pablo Escobar

(2004) The last face - Miguel

(2004) The three ages of the crime -

(2004) Mare dentro - Ramón Sampedro

(2004) Collateral - Felix

(2002) I lunedì al sole - Carlos "Santa" Santamaría

(2002) Danza di sangue - Rejas

(2000) Prima che sia notte - Reinaldo Arenas

(1999) Seconda pelle - Diego

(1999) Los Lobos de Washington - Alberto

(1999) Tra le gambe - Javier

(1998) Torrente, el brazo tonto de la ley -

(1997) Perdita Durango - Romeo

(1997) Carne trémula - David

(1997) Airbag - tre uomini e un casino - Attore di telenovelas

(1996) El Amor perjudica seriamente la salud -

(1996) Not Love, Just Frenzy -

(1996) Ecstasy - Rober

(1995) La madre - Son

(1995) Boca a boca - Víctor Ventura

(1994) El Detective y la muerte - Detective Cornelio

(1994) Días contados - Lisardo

(1994) La Teta y la luna - Benito González

(1993) Uova d'oro - Benito González

(1993) L'amante bilingue - El limpiabotas

(1992) Huidos -

(1992) Prosciutto prosciutto - Raul

(1991) Amo tu cama rica - Antonio

(1991) Tacchi a spillo -

(1990) Le età di Lulù -

giovedì 15 aprile 2010

NEWS: addio Raimondo.


Raimondo Vianello è morto questa mattina alle 7.00 del mattino all'età di 87 anni. Da qualche giorno era ricoverato all'ospedale San Raffaele di Milano. Il 7 maggio avrebbe compiuto 88 anni.

domenica 11 aprile 2010

RECENSIONE.: La banda del Brasiliano




Titolo: La Banda del Brasiliano.
Italia, 2009
Cast: Carlo Monni, Luke Haiti, Gabriele Pini, Luca Spanà.
Sceneggiatura: Patrizio Gioffredi, Lorenzo Orlandini.
Produzione: John Snellinger Film.
Regia: John Snellinberg
Durata: 90'

Un impiegato cinquantenne di Prato viene rapito dalla banda del Brasiliano (composta dal Mutolo, il Biondo, il Randagio e il Brasiliano) che hanno come movente un sentimento di rivalsa contro i soprusi del precariato e della disoccupazione. I membri della banda sono trentenni che tentano di collocarsi nel mondo del lavoro, precari delusi da una generazione e da uno Stato che non ha più niente da offrire e sta morendo inesorabilmente. L'ispettore Brozzi (Carlo Monni) indaga sul caso e scopre che l'ostaggio è legato alla morte di un bambino... Il film del collettivo Snellinberg si potrebbe riassumere con una battuta dell'ispettore Brozzi che coglie in pieno il malessere che pervade la generazione dei trentenni: che mondo di merda. Finalmente!!! Finalmente qualcuno ha il coraggio di mandare a quel paese questa realtà in cui è annegata la società italiana. Finalmente si mostra realmente la condizione dei precari, dei laureati e non che finiscono a spasso dopo essere stati sfruttati fino al midollo. Finalmente non è il classico film generazionale leccato, falso, edulcorato e paraculo che pretende di offrire la finestra sul mondo dei giovani e ha come protagonista Nicolas Vaporidis. La banda è il ritratto dell'insoddisfazione e della frustrazione di ragazzi che vogliono fare ma che non possono fare perchè ritenuti incapaci, inutili dai cinquantenni che subiscono pesantemente le conseguenzi di un mancato ricambio generazionale. Un pò come i protagonisti de Le Iene di Quentin Tarantino vengono mostrati degli sprazzi di vita della banda: c'è chi a perso il lavoro per la ristrutturazione dell'azienda o soltanto perchè è l'ultimo arrivato, chi ha una laurea e trova solo posti temporanei non pagati, chi è considerato una nullità dal proprio datore che si rifiuta di insegnargli il mestiere. è un continuo e reciproco j'accuse tra le due generazioni: da un lato viene riprodotta fedelmente la frustrazione dei trentenni che si sentono umiliati nel ricevere la paghetta, che studiano e si ritrovano a fare lavoretti saltuari, a tempo determinato che scadono come un cartone del latte, che hanno l'assurda pretesa di essere retribuiti, che peccano di presunzione nel pensare di costruirsi un futuro. Dall'altra ci sono i cinquantenni che si ritrovano senza un lavoro e devono ricominciare da zero facendo colloqui infruttuosi negli uffici di collocamento e altri invece vedono nei loro figli, nipoti o dipendenti dei bambocci viziati che hanno avuto tutto e che pretendono tutto senza il minimo sforzo e che hanno costruito tutto dal nulla. Il tutto viene filtrato attraverso il genere poliziesco anni Settanta, un omaggio ai film interpretati da Tomas Milian e i noir diretti da Fernando Di Leo. Lo spirito di quei film aleggia in questo lungometraggio e confluisce nell'insoddisfazione che come un virus intossica l'esistenza dei protagonisti, e soprattutto nella disillusione e sfinitezza dell'ispettore Brozzi, che sembra proprio uscito da uno di questi film. Il film è costato solo 2.000€ e pecca di una forma un pò amatoriale (dovuta al low budget), ma in compenso ha 2000 idee, un sottile strato di humor, cultura cinematografica e ottima musica. Ce ne fossero così di film. Dovrebbe vederlo il ministro Brunetta...

Voto: 8,5
A.M.


venerdì 9 aprile 2010

CULT MOVIE: Per un pugno di dollari



Titolo: Per un pugno di dollari.
Italia, Spagna, Germania Ovest
Cast: Clint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marianne Koch
Sceneggiatura: Sergio Leone, Duccio Tessari, Fernando Di Leo
Produzione: Unidis
Regia: Sergio Leone
Durata: 94'

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto”. Questa è l’unica legge che vige nella spietata San Miguel, un paese al confine tra Messico e Stati Uniti. 
In questa cittadina deserta, dimenticata da Dio giunge il pistolero Joe (Clint Eastwood) che alloggia nella locanda di Silvanito e viene a sapere di una faida tra due famiglie. La prima fazione è composta dai fratelli Rojo, commercianti di alcool: Don Benito, Esteban e Ramon (Gian Maria Volontè). 
La seconda fazione è la famiglia Baxter, commercianti di armi. Joe decide di sfruttare la lotta tra le due famiglie patteggiando per entrambi e allo stesso tempo le mette l’una contro l’altra, che si attaccano in scontri cruenti. Il pistolero non è un uomo totalmente privo di scrupoli e decide di salvare la giovane Marisol (Marianne Koch) prigioniera di Ramon, permettendole di ricongiungersi con suo marito e il piccolo Jesus. Joe viene catturato e torturato dai fratelli Rojo, ma riesce a fuggire e a sfidare in un ultimo duello il perfido Ramon. 
Il film di Sergio Leone si ispira alla pellicola di Akira Kurosawa, Yojimbo, e lo riadatta in chiave western rivitalizzando il genere andato ormai in declino verso gli anni Sessanta. In un contesto quasi darwiniano dove sopravvive solo il più forte, la giustizia non esiste, beffata anche dal comportamento poco ortodosso dello sceriffo che dovrebbe mantenere l’ordine e invece mantiene solo i suoi traffici e i propri privilegi. 
La legge è solo un simbolo sbiadito nella landa desolata e silenziosa interrotta solo dal rumore degli spari e della dinamite che esplode. Il punto di forza del film sta proprio in questo stravolgimento dell’ordine dove vige solo caos, violenza e nessuna pietà per poi ritornare alla calma e ad una parvenza di normalità e redenzione. Joe e Ramon sono il dualismo del bene e del male: il pistolero di poche parole decide di percorrere una sorta di sfida negli inferi (il covo dei Rojo) per poi riemergere nel duello “purificatore”. 
Il finale è diventato una scena di culto della storia del cinema: si consuma la tragedia finale in uno sfondo desertico e lirico sottolineato dalla meravigliosa musica di Ennio Morricone. Il paesaggio è uno dei protagonisti assoluti della pellicola, lo sfondo/palco dove il regista muove i fili dei suoi personaggi, trattandoli come dei burattini. 
Leone risparmia sui dialoghi (che trasudano senso dell’umorismo anche per stemperare la drammaticità delle situazioni) preferendo far parlare molto gli occhi dei suoi personaggi, in un gioco di sguardi e soggettive che fotografano ogni istante che sta per accadere. 
Lo sguardo è rivelatore: gli occhi luciferini di Gian Maria Volontè esprimono una malvagità compiaciuta fin dalla sua prima entrata in scena. Attraverso lo sguardo di ghiaccio di Clint Eastwood siamo resi partecipi delle nefandezze che accadono nella cittadina, lasciandoci testimoni impotenti di violenza e distruzione. 
Una pietra miliare del cinema che fa amare il western anche ai poco patiti del genere.

giovedì 8 aprile 2010

MONOGRAFIA: Clint Eastwood.


Lineamenti scolpiti nella pietra, occhi azzurri limpidi, sguardo di ghiaccio: così si presenta Clint Eastwood, il cowboy dalle poche parole e dalla pistola veloce nei film di Sergio Leone. Nato a San Francisco il 31 maggio del 1930, prima di approdare ad Hollywood fu per un periodo uno studente di economia e passò un breve periodo nell'esercito degli Stati Uniti. Nel 1954 fu convinto a partecipare ad un provino presso gli Studios cinematografici della Universal per poi approdare a B-movies come Tarantula e Revenge of the creature. La svolta avviene incontrando il regista italiano Sergio Leone che lo volle per la Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il Buono, il brutto e il cattivo (1966). Eastwood è perfetto nei panni del pistolero solitario e di poche parole, prestando i suoi tratti duri, la gestualità essenziale (spesso tacciata di inespressività da parte dei critici più refrattari), vengono esaltati dal regista italiano nei suoi western. Gli anni Settanta sono caratterizzati da un altro personaggio di culto: Harry "dirty" Callaghan che inaugura la fortunata serie con L'Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo! (Dirty Harry) diretto da Don Siegel nel 1971. Callaghan è il classico ispettore poco ligio alle regole che preferisce usare i suoi metodi poco ortodossi pur di assicurare i criminali alla giustizia. Eastwood continua con caratterizzazioni di duro come in Una Calibro 20 per lo specialista (Thunderbolt and Lightfoot) del 1974 per la regia di Michael Cimino e i sequel dell'ispettore Callaghan (Una 44 magnum per l'ispettore Callaghan, Cielo di piombo per l'Ispettore Callaghan, Coraggio... Fatti ammazzare) e un altro ruolo intenso in Fuga da Alcatraz (Escape from Alcatraz, 1979), storia del detenuto Frank Morris, l'unico ad essere riuscito ad evadere dal carcere di San Fransisco. Gli anni Ottanta sono un periodo di appannamento, i ruoli da duro scarseggiano e decide di concentrarsi alla regia con Bronco Billy e Firefox e Bird, biografia del jazzista Charlie Parker. Gli anni Novanta segnano la rinascita dell'attore riprendendo nuovamente il suo status di star di Hollywood: Gli Spietati (The Unforgiven, 1994) diretto e interpretato e vinse il premio Oscar per il miglior film. Si apre una stagione fortunata nelle vesti di regista (fortuna e bravura che lo accompagnano tutt'ora) inanellando successi di critica e pubblico: I ponti di Madison County segna l'aspetto più intimista del regista/attore californiano, Mezzanotte nel giardino del bene e del male offre un lato raffinato del duro cowboy. Il trionfo continua con Mistic River (2003) e soprattutto con Million dollar baby che si aggiudica la statuetta per il miglior film, attrice protagonista (Hillary Swank), attore non protagonista (Morgan Freeman) e soprattutto la miglior regia. Eastwood continua a offrire grandi film come Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima. Gli ultimi film sono Changeling, Gran Torino e Invictus (2010). Il cowboy dagli occhi di ghiaccio continua ancora a stupire con il suo eclettismo e la sua vitalità.

giovedì 1 aprile 2010

RECENSIONE: Mine vaganti



Titolo: Mine vaganti
Italia, 2010
Cast: Riccardo Scamarcio, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino, Alessandro Preziosi, Nicole Grimaudo.
Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Ivan Cotroneo.
Produzione: Fandango.
Regia: Ferzan Ozpetek
Durata: 110'

Normalità che brutta parola. Dietro questa facciata è costruita la famiglia Cantoni, proprietaria di un'industria di pasta che di normale non ha proprio niente.
Il capofamiglia (Ennio Fantastichini) tradisce la moglie dall'olfatto incredibile (riesce a sentire "l'odore di puttana" in una stanza), la cognata (Elena Sofia Ricci) grida "al ladro, al ladro" nella speranza di essere concupita nel pieno della notte. La nonna viene definita una mina vagante, ha la glicemia alta e sogna il vecchio amore perduto.
Infine i figli: Elena sposata con un uomo che non è proprio una cima e si ostina a chiamare il suocero papà, Antonio (Alessandro Preziosi) che sembra il più quieto ma è colui che sconvolgerà la famiglia e il più piccolo,Tommaso (Riccardo Scamarcio) che si è creato una doppia vita a Roma dove si è laureato in lettere e ha un compagno, facendo credere alla famiglia di aver frequentato Economia e di interessarsi alle ragazze. Il figliol prodigo torna nel paesino natio finalmente deciso a fare outing e a coltivare le sue velleità letterarie, ma Antonio gli rovina la festa dichiarandosi gay a pranzo e il padre ha un infarto.
Alla fine Tommaso è costretto a rivedere i suoi piani rimanendo in città e lavorando controvoglia nel pastificio affiancato da Alba (Nicole Grimaudo), ritenuta strana dalla maggior parte dei concittadini.
Abbandonati i toni drammatici Ozpetek sperimenta la commedia e per farlo utilizza il pampleth dei parenti serpenti, colladauta sin dai film di Mario Monicelli e Dino Risi. L'immancabile tavolata (ormai divenuto un leit motiv del regista) presenta portate intrise di ipocrisie, amarezze, velleità, cose non dette, cose dette (che non dovevano essere dette), malori e sorrisi tirati, servite per l'occasione in una cittadina pugliese (per una volta non si vede la solita Roma o Milano) che sembra un po' ferma nel tempo, sostenuta dai pettegolezzi, mal dicenze e malignità.
E se da un lato il regista italo-turco presenta una famiglia alto-borghese al collasso dei sentimenti, finita in mille pezzi che tenta faticosamente di rimettere i cocci insieme, dall'altro punta lo sguardo sulle ipocrisie della borghesia italiana fatta di sguardi, risate (vere o presunte), voci, commenti sotto voce, verità che non si accettano e tutti portano delle maschere pseudo pirandelliane.
Tutti recitano un ruolo: la madre tenta in tutti i modi di tenersi stretta la rispettabilità di donna borghese e sorvola sul tradimenti del marito, anche se non risparmia battute al vetriolo contro le malelingue.
Il padre vede complotti ovunque, gli amici di Tommaso devono recitare il ruolo dell'uomo macho per poi sfogarsi in spiaggia con un balletto (è la parte più divertente del film, ricca di humour, dove il regista si prende scherzosamente in giro).
Il personaggio della nonna è l'unica a non accettare di fingersi ciò che non è, e allora viene considerata una mina vagante, ma in realtà per un modo o per un altro lo sono tutti o quasi,  perché alla fine Tommaso decide di mantenere la finzione, sacrificandosi in parte e diventando una sorta di collante per quei cocci rotti che è la sua famiglia.
Tommaso alla fine rivela di avere la mentalità più borghese perché non ha il coraggio di sfidare fino in fondo le convenzioni (rappresentate dalla famiglia e dalla società) rimanendo legato alle convenzioni,. Alla fine tutto si ricompone e si accettano i difetti.
Ozpetek osa ma si frena, avrebbe dovuto mettere un po' più di cinismo e sana cattiveria nelle pietanze che ha cucinato.
Normalità che brutta parola. Ma forse non è così brutta come sembra.

Voto: 7

A.M.